O è San Valentino tutti i giorni, o non è San Valentino mai

Il mese scorso abbiamo avuto l’occasione di cenare insieme da soli, mio marito ed io.

Alcune coppie ne hanno parecchie di queste occasioni, noi francamente no. Riceviamo aiuto durante il giorno, quando siamo impegnati nel lavoro o in qualche faccenda particolare, ma di sera nessuno si offre e noi chiediamo raramente.

Capitando così di rado, nutrivo grosse aspettative per la serata.

No, non parlo di tacco 12 e Champagne, ma di quelle scene un po’ famiglia del Mulino Bianco.

Sai, quelle che si vedono sui social: genitori che smettono per qualche ora di esserlo e si tramutano in una coppia affiatata. Il sorriso smagliante, le mani intrecciate e lo sguardo rivolto verso la luna (che era bellissima e piena, manco a farlo apposta).

E invece lui è un po’ assente. Sorride ma non ride davvero. E mi racconta di essere un po’ preoccupato.

Da lì un fiume di parole, su questioni che non c’entrano con noi due o con la famiglia, ma altrettanto importanti.

Lui non è il tipo di persona che chiameresti ‘libro aperto’ e alcune volte, nonostante il suo viso comunichi tante cose, la bocca rimane serrata: semplicemente non è il momento e non parlerà, nonostante i tentativi da parte mia.

Allora mi è venuta in mente quella frase di Carrie in un episodio di Sex And The City (quello nel quale frequentava Bergen, lo scrittore): ‘C’è una legge molto elementare che regola i rapporti: quando il tuo uomo è giù, tu devi essere su’. Per dovere di femminista mi permetto di aggiungere: e viceversa.

Comunque è esattamente quello che ho fatto. Via il Mulino Bianco, via il mio ego: ho ascoltato e offerto la mia spalla. Niente ballo sotto la luna o ti amo appassionati.

Abbiamo camminato, mano nella mano, parlando.

Perché amarsi è anche questo. Mettere da parte le tue egoistiche aspettative del momento e accettare invece la realtà di quella giornata. Quello era il momento di ascoltare, di esserci.

Tra qualche decade ci sarà un’altra cena e magari andrà diversamente. Così non fosse, le scene da commedia americana avvengono anche in tanti momenti rubati, quando non hai alcuna aspettativa. Quando condividi mezz’ora con lui senza bambini. Quando vai a letto e lo trovi sveglio che ti aspetta. Quando sei in macchina e i piccoli dormono, o quando ti stai preparando per uscire e ti dice: ‘Sei bellissima’.

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Venerdì scorso Leonardo ha preso una brutta mani bocca piedi. L’aveva già avuta ma questa volta è stata aggressiva e gli ha provocato molto dolore in bocca. Per 3 notti non ha praticamente chiuso occhio e mio marito se le è fatte tutte e tre. Senza battere ciglio.

Domenica mattina ha portato fuori il cane ed è tornato con uno striminzito rametto di mimosa, che sa che adoro. Lo deve aver preso dall’albero qua sotto.

Eccolo, ecco il vero romanticismo. Quello che non si vede sui social. Quando, nonostante abbia due occhiaie che toccano i talloni, gli viene in mente di portarti un fiore.

colonna sonora del post: L.O.V.E. cantata da Frank Sinatra

san valentino con bambini piccoli

Ridere fa bene, combatti la ‘playfobia’

‘Playfobia’.

Ho letto questa parola qualche tempo fa in un blog e mi ha colpito come un pugno.

Coincidenza, riflettevo proprio in quei giorni sull’aver letto nei social molte madri che per le vacanze di Natale erano riuscite a spedire i figli dai nonni, o a impegnarli  in attività che li tenessero comunque fuori casa molte ore al giorno.

Io stessa mi trovavo in bilico tra il forte desiderio di stare con loro e l’apena di vedere oltraggiati tutti i miei spazi personali e sacrosanti momenti di solitudine.

Palyfobia è la paura del gioco. Perché diciamocelo, quante volte noi mamme abbiamo stretto i denti e giocato a qualcosa, quando avremmo voluto fare tutt’altro?

Abbiamo finto entusiasmo.

Abbiamo finto di ridere.

Guardando di sottecchi l’orologio…

Ma cosa c’è di così difficile nel giocare?

A prescindere dall’attività specifica che può entusiasmarci di più o di meno (ad esempio, amo il Didò e il disegno, ma mi annoio a morte a giocare al ‘ristorante’, uno dei giochi favoriti del ninja ovviamente), penso di parlare a nome di molte di noi se dico che il blocco maggiore viene dalla nostra mente.

Lì, sulla destra, c’è il fardello di tutte le cose che dovremmo fare (preparare la cena, prendere i panni dalla lavatrice, sistemare quella pila di vestiti sulla sedia, aggiustare lo smalto sbeccato, leggere almeno due pagine di quel libro che non riusciamo mai a portare avanti and so on.). Sulla sinistra invece, i pensieri della giornata che faticano a mollarci, come quel disguido sul lavoro o quella cosa che ci siamo dimenticate di comprare in farmacia. Al centro sta la stanchezza, che ci sussurra che avremmo diritto a un po’ di meritato riposto, magari al gesto erotico e trasgressivo di appoggiarci sul divano in santa pace per 10 minuti.

Ecco che allora diventa davvero difficile stare lì con la testa, in quel gioco banale, in quel momento come tanti.

Ma se lasciamo spazio a questa playfobia, non solo perderemo la preziosa occasione di entrare nell’universo dei nostri figli, in un momento di vera sintonia, ma ci precluderemo la preziosa e – ahimè – non così frequente possibilità di vivere un attimo di totale leggerezza.

La notizia è che possiamo ridere. Possiamo e dobbiamo! Perchè ridere fa bene. E non lo dico io eh, lo dice la scienza.

Magari all’inizio sarà una risatina forzata… Ma proviamo a calarci davvero nella parte di questo benedetto gioco.

Corriamo come delle pazze per fare ‘tana’ a nascondino, lanciamo quella macchinina come se dovesse arrivare sulla luna, concentriamoci a lanciare la palla per far cadere i birilli e fingiamo di mangiare quella benedetta zuppa di pollo, uva e cetriolo come se fosse la cosa più buona che abbiamo mai assaggiato.

Ridiamo con i nostri bambini, facciamolo per loro, ma facciamolo anche per noi. Che di risate ne abbiamo bisogno come l’aria, ma spesso ce ne dimentichiamo.

giocare con i bambini
Playfobia. Ridere fa bene
[Soundtrack di questo post è 'We are Golden' di Mika]