Accettazione, frustrazione, corpo da spiaggia.

Cos’è – vorrei sapere – cos’è che mi porta ogni maledetta estate ad attraversare quella settimana buia, nella quale mi vedo tutti i difetti del mondo?

Succede ogni anno:

Funziona tutto piuttosto bene, mi vedo piuttosto bene.

Poi arriva il caldo e ci si scopre un po’ alla volta.

Finché non arriva il giorno in cui lancio metà dei vestiti sul letto e sbraito (più a me stessa che ad altri) che tanto non mi sta bene niente.

Eppure è il mio guardaroba, proprio quello che ho scelto io e che mi fa compagnia con affetto 365 giorni all’anno.

Sono bianca sì, e non sopporto il caldo.

Mi abbronzo se sto immersa in acqua o se c’è quella bella arietta che non ti fa sudare come un pollo sullo spiedo. Non sono mai stata come quelle (beate loro) che se ne stanno in pausa pranzo sul terrazzino a prendersi il sole con 30 gradi.

E quelle braccia da nuotatrice? Sempre avute.

Ci siamo odiate in adolescenza, poi abbiamo imparato a convivere, sghignazzando per ogni volta che mi hanno chiesto se faccio nuoto (solo rana, in verità, e pure malino).

La pancia… Beh quella è una lunga storia.

Quando ero adolescente c’era Shakira, che tu che mi leggi probabilmente hai ben presente, e c’era Britney Spears, prima che decidesse di rasarsi a zero e abbandonare la ragazzina provocatrice per quella ubriaca che si fa arrestare.

Non so se ti è mai capitato ma succede molto spesso: passiamo anni ad affliggerci per un qualche difetto fisico e poi il tempo passa, e riguardando quelle foto di 10 anni prima, ci diamo delle stupide, perché in verità eravamo belle e ci sottovalutavamo.

Quella pancia che mi è sempre stata profondamente antipatica, perché io sognavo la tavola da surf e invece era leggermente pronunciata e ‘femminile’, a rivederla adesso mi sembra bellissima.

La pancia attuale, con una diastasi di 6 cm e l’ombelico che piange, quella sì che è brutta. E lo dico con tutto il rispetto per chi è messa molto peggio (ho visto diastasi che ti fanno sembrare sempre incinta e ernie grandi come palle da golf) o per chi ha problemi ben più seri: con rispetto, dico che per me è brutta, inutile indorare la pillola.

Passo la giornata a pensarci? No.

Mi impedisce di trovarmi piacevole in molte situazioni? No.

Ma non mi fa mai sentire 100% a mio agio, come se non mi appartenesse, dato che sono una persona dinamica e piuttosto sportiva.

Se ne sta lì con aria afflitta, come se fosse la pancia di una che sta sempre sul divano a mangiare patatine.

Ho fatto un consulto con il chirurgo, perché sto valutando l’operazione nel 2021, e ammetto di essere terrorizzata (mai operata in vita mia); ma il pensiero di tornare a piacermi, pur con un po’ di smagliature, con la faccia spesso stanca, con qualche capillare in vista, con le braccia da nuotatrice, con la pelle chiara, ecco quel pensiero è qualcosa a cui mi attacco con gioia.

Maturità per me non è rinunciare a sentirci belle nei nostri panni perché in fondo ci sono cose più importanti… Maturità è essere consapevoli che quell’ideale di bellezza promosso con ossessione sui media e in molti social non esiste. 

E che scegliere di fare figli ha ripercussioni sul corpo, fosse anche una piccola smagliatura.

E che il corpo comunque invecchia, è la vita.

Maturità è rispettare se stesse senza ossessioni, consapevoli che possiamo e dobbiamo prenderci cura di noi nel modo che riteniamo migliore e non solo per l’estetica, ma soprattutto per il benessere totale. 

Mens sana in corpore sano, mica per niente.

Non c’è una morale in questo post o una soluzione definitiva.

C’è solo la voglia di condividere senza vergogna certi pensieri, senza per questo sentirmi superficiale.

Che anche quest’anno mi ritrovo un corpo da spiaggia… Perché il corpo c’è, e la spiaggia pure.

Vecchia normalità. Nuova normalità.

Io la guerra non l’ho mai vissuta.

Non so cosa si provi quando il solo camminare per strada mette a rischio la tua vita. Quando nemmeno ‘casa’ è un luogo sicuro, a causa delle bombe.

Non so cosa provino i soldati al fronte.

Leggere gli orrrori non è come viverli sulla propria pelle. Nè vedere certi film/documentari ti rende davvero consapevole.

Per altro, negli ultimi anni ho ridotto drasticamente gli stimoli che mi spaccano il cuore in due, che da quando sono diventata mamma la prima volta, sto ancora cercando di capire come lasciare entrare l’orrore nella mia vita, anche solo attraverso lo schermo della tv.

Posso solo parlare di questa guerra qui, quella della pandemia fantasma.

Sia chiaro, è fantasma per me ma per altri no.

Chi lavora in ospedale ad esempio, o chi si è trovato con familiari ammalati (o ammalato lui stesso), ha sicuramente un vissuto differente.

Ecco, nel mio caso (grazie al cielo) è un fantasma: sono le notizie discordanti e quasi sempre negative che leggo ogni mattina, sono i racconti dell’amico dell’amico, sono le paure, schierate proprio davanti a me, anche se cerco di non lasciare loro più spazio del dovuto.

Ma pur imponendomi di mantenere il controllo, che la vita è un dono e abbiamo il dovere di continuare a viverla al meglio delle nostre possibilità, devo ancora scendere a patti con questa ‘nuova normalità’.

La cosa subdola è che non te ne rendi conto subito che la normalità è cambiata.

Cioè, per un periodo te ne stai tra le tue 4 mura aspettando un ritorno alla vita di prima. Poi, una mattina ti alzi e capisci che non c’è nessun ritorno. Che forse ci sarà molto più avanti. E che in ogni caso la coda del virus è molto ma molto più lunga di quanto pensassi.

E allora cominci a capire che gli amici, quelli che prima potevi vedere e abbracciare, non è dato sapere quando li rivedrai. Quando sarà il prossimo sabato sera tutti insieme? Quando avró di nuovo la casa piena di bambini che urlano e mettono in disordine?

Soprattutto, quando potró riabbracciare qualcuno o anche solo parlare a pochi cm di distanza?

E uscire là fuori dà una strana sensazione, sembra di trovarsi in un film bizzarro a metà tra l’americanata e le comiche all’italiana.

Quella mascherina che si muove e fa sudare la faccia.

Gli sguardi di soldarietà.

Il negoziante impacciato che deve darti il resto.

Ci si guarda intorno un po’ spaesati, con la consapevolezza che il nemico non si vede, non si sente, ma è in mezzo a noi e ci tiene lontani… Fino a data da destinarsi.

Voglio comunque chiudere questa riflessione piena di emozioni impiastricciate, con la mia modesta ricetta di sopravvivenza, nel caso voglia cucinarla anche tu: premetto, non serve il lievito di birra.

La mia ricetta si chiama gratitudine: sono grata semplicemente per ogni cosa che mi fa battere il cuore durante la giornata, che ce n’è sempre qualcuna anche nelle giornate più nere. E sono grata di essere viva, cosa che non do più per scontata da tanto tempo, e di amare, e di essere amata.

E trovare ancora il lato buffo delle situazioni…

Come che la mascherina distoglie lo sguardo dal mio taglio di melma, ad esempio.

affetto