Perché avevo perso la voglia di scrivere qui (davvero)

‘Non ho tempo’

‘Non ce la faccio’

‘Lo riprenderò in mano a breve’

Queste e tante altre le scuse che mi sono inventata per non tornare sul luogo del delitto, che poi sarebbe questo qui.

Sicuramente il lavoro che è cambiato e l’arrivo di un secondo bambino mi hanno prosciugato parecchie energie, ma la vera verita è che, anche quando avrei potuto ricominciare a scrivere, non l’ho fatto.

Negli ultimi mesi qualcosa detro di me si è mosso e mi sono posta con onestà la domanda: ‘Vuoi chiudere il blog? E non rispondermi che ce l’hai dal 2013. E non rispondermi che ogni tanto qualcuno ti dice che gli manca leggerti. Non dirmi nemmeno che ti dispiace! Fammi sapere se hai davvero intenzione di tornare, e se decidi di sì, fallo per davvero’.

Ed è ecco che improvvisamente ho colto l’aspetto davvero ironico della situazione.

Io che molto spesso scrivo consigli e riflessioni sul non temere il giudizio degli altri, io che quando voglio fare davvero qualcosa vado a testa bassa e che ripeto a mio figlio (all’altro no ma solo perché ancora non parla) ogni giorno quanto sia importante ragionare con la propria testa/essere liberi/decidere per se stessi e non per gli altri. Insomma, io. Ecco, io avevo paura del giudizio.

in che senso? verdone

Forse ‘temere’ non è la parola più appropriata ma per fartela breve ti elenco le domande/riflessioni che mi hanno inconsciamente portato a frenarmi:

‘Gente che non voglio che sappia i fatti miei, saprà i fatti miei’

‘La mia vita non è poi così interessante da scriverne’

‘Non penso di avere opinioni così eclatanti da farci un post sopra’

‘E’ pieno di mamme. E di blog. E di blog di mamme’

‘Poi arriva il commento cafone e mi tocca anche incaxxarmi perché apprezzolecritichecostruttive ma col cavolo’

E… Gran finale

‘Ma qualcuno li legge ancora i blog?’

A quest’ultima domanda, dopo studi di settore, posso serenamente rispondere sì, i blog insistono – persistono – raggiungono e conquistano.

Per quanto riguarda le altre obiezioni, mi sono data un’unica risposta: scrivi per scrivere. Quando ho iniziato infatti, scrivevo per il gusto di farlo, perché all’epoca non lo facevo per lavoro e mi mancava come l’aria. Ricordo che l’unico dispiacere che ho avuto una volta terminato il liceo, è stato il pensiero: ‘Chissà se e quando ricomincerò a scrivere’.

E se per caso tu che mi leggi hai un blog in crisi o vuoi aprirne uno personale, ecco il mio modesto ma cazzuto consiglio: scrivi per scrivere.

Non pensare a chi ti leggerà (cioè, pensaci per rendere la tua scrittura fruibile al massimo ma non ammalarti cercando consensi per forza), perché tanto non si può piacere a tutti.

E se chi che legge si fa qualche idea su di te, e se ha bisogno di sfogare la sua frustrazione, e se a quello non piaci, e se arriva la prozia che poi alla cena di Natale ti attacca la pezza su quando hai scritto che odi il suo stufato, pazienza!

Tu scrivi per scrivere, e vedrai che funzionerà.

Non siamo tutti uguali, e meno male

Alla maturità presi 90/100, alla laurea 100/110.

Non sono mai stata una che aveva il massimo, ma soprattutto, non ho mai puntato ad averlo. A dire il vero, ho sempre nutrito una grande simpatia per il numero 2. 

Il numero 2 non si è smazzato quanto l’1 ma ha comunque ottenuto soddisfazione e complimenti.

Alla maturità presi 90/100, alla laurea 100/110.

Non sono mai stata una che aveva il massimo, ma soprattutto, non ho mai puntato ad averlo. A dire il vero, ho sempre nutrito una grande simpatia per il numero 2.

Il numero 2 non si è smazzato quanto l’1 ma ha comunque ottenuto soddisfazione e complimenti.

Il numero 2 non è il capo, da lui non dipendono le sorti del lavoro, ma è comunque abbastanza in alto da avere potere decisionale.

Il numero 2, nella mia mente, si gode la vita.

E anche poco tempo fa mi sono ritrovata a fare considerazioni con marito sulle nostre differenze: lui, con una viscerale mentalità imprenditoriale, e io che mi sono sempre trovata alla grande nel ruolo di seconda.

Cosa implica questo ruolo nel concreto? Avere un lavoro che ti piace e ti soddisfa, ma non che ti prende tutta la giornata (dopotutto, non sei un 1). Avere un buon stipendio, ma non da far girare la testa (sennò devi farti il mazzo come l’1!). Essere una buona madre, ma non fingere di farlo in maniera impeccabile. Avere una casa ordinata, ma che volte è un vero casino. Avere unghie, piega, corpo piuttosto in ordine, ma c’è il giorno che esci di casa con le unghie delle mani inguardabili. Lavorare, contribuire alla cura della casa, crescere la prole MA avere sempre una scorta di tempo libero insindacabile per me stessa.

Se la nostra società fosse più incline a spingere la libera INDIVIDUALE espressione, forse lo avrei capito prima che la vita che volevo era da 2. E non avrei lottato per cose che in fondo nemmeno desideravo, né avrei perso tempo a sentirmi inadeguata verso determinati standard, né tantomeno mi sarei sentita in dovere di giustificare le mie preferenze.

Questo per dire di pensare bene a che numero volete essere, a che persona volete essere. Perché anche se a parole suona sempre facile, non è invece così facile far uscire la propria voce, costruirsi una vita che sia davvero su misura.

Perché se è vero che tutti dobbiamo anche fare cose che non ci piacciono, non è vero che non ci siano cose che possiamo eliminare, aggiustare, fare e rifare da capo.

Io penso si debba lasciare alla porta questo senso di ineluttabilità che ci fa credere che si debba vivere una vita lineare e coerente con se stessa. Semmai la coerenza dovrebbe averla con la nostra essenza, che è quella parte di noi che se ne frega dei giudizi e che sa benissimo quello che vuole ADESSO.

Perché domani magari avrà cambiato idea.

Anzi, speriamo che l’abbia cambiata, perché sennò vuol dire che non ha vissuto davvero.

Un piccolo post per incoraggiarvi (e incoraggiarmi) a non vergognarvi di quello che vi fa stare bene.

Perché siete le uniche persone con le quali dovrete convivere finchè morte non vi separi.

freedom