Vecchia normalità. Nuova normalità.

Io la guerra non l’ho mai vissuta.

Non so cosa si provi quando il solo camminare per strada mette a rischio la tua vita. Quando nemmeno ‘casa’ è un luogo sicuro, a causa delle bombe.

Non so cosa provino i soldati al fronte.

Leggere gli orrrori non è come viverli sulla propria pelle. Nè vedere certi film/documentari ti rende davvero consapevole.

Per altro, negli ultimi anni ho ridotto drasticamente gli stimoli che mi spaccano il cuore in due, che da quando sono diventata mamma la prima volta, sto ancora cercando di capire come lasciare entrare l’orrore nella mia vita, anche solo attraverso lo schermo della tv.

Posso solo parlare di questa guerra qui, quella della pandemia fantasma.

Sia chiaro, è fantasma per me ma per altri no.

Chi lavora in ospedale ad esempio, o chi si è trovato con familiari ammalati (o ammalato lui stesso), ha sicuramente un vissuto differente.

Ecco, nel mio caso (grazie al cielo) è un fantasma: sono le notizie discordanti e quasi sempre negative che leggo ogni mattina, sono i racconti dell’amico dell’amico, sono le paure, schierate proprio davanti a me, anche se cerco di non lasciare loro più spazio del dovuto.

Ma pur imponendomi di mantenere il controllo, che la vita è un dono e abbiamo il dovere di continuare a viverla al meglio delle nostre possibilità, devo ancora scendere a patti con questa ‘nuova normalità’.

La cosa subdola è che non te ne rendi conto subito che la normalità è cambiata.

Cioè, per un periodo te ne stai tra le tue 4 mura aspettando un ritorno alla vita di prima. Poi, una mattina ti alzi e capisci che non c’è nessun ritorno. Che forse ci sarà molto più avanti. E che in ogni caso la coda del virus è molto ma molto più lunga di quanto pensassi.

E allora cominci a capire che gli amici, quelli che prima potevi vedere e abbracciare, non è dato sapere quando li rivedrai. Quando sarà il prossimo sabato sera tutti insieme? Quando avró di nuovo la casa piena di bambini che urlano e mettono in disordine?

Soprattutto, quando potró riabbracciare qualcuno o anche solo parlare a pochi cm di distanza?

E uscire là fuori dà una strana sensazione, sembra di trovarsi in un film bizzarro a metà tra l’americanata e le comiche all’italiana.

Quella mascherina che si muove e fa sudare la faccia.

Gli sguardi di soldarietà.

Il negoziante impacciato che deve darti il resto.

Ci si guarda intorno un po’ spaesati, con la consapevolezza che il nemico non si vede, non si sente, ma è in mezzo a noi e ci tiene lontani… Fino a data da destinarsi.

Voglio comunque chiudere questa riflessione piena di emozioni impiastricciate, con la mia modesta ricetta di sopravvivenza, nel caso voglia cucinarla anche tu: premetto, non serve il lievito di birra.

La mia ricetta si chiama gratitudine: sono grata semplicemente per ogni cosa che mi fa battere il cuore durante la giornata, che ce n’è sempre qualcuna anche nelle giornate più nere. E sono grata di essere viva, cosa che non do più per scontata da tanto tempo, e di amare, e di essere amata.

E trovare ancora il lato buffo delle situazioni…

Come che la mascherina distoglie lo sguardo dal mio taglio di melma, ad esempio.

affetto

Senso di colpa e maternità: un tedioso binomio

Pare che le madri siano le candidate numero uno per provare sensi di colpa.
Pare proprio che li partoriamo insieme ai bambini e ci si attacchino addosso come sanguisughe.
Perché siamo così portate a sentirci in colpa?

Pare che le madri siano le candidate numero uno – primissimo posto indiscusso – per provare sensi di colpa.

Pare proprio che li partoriamo insieme ai bambini. E ci si attaccano addosso come sanguisughe.

Il perché non credo abbia origine univoca ma di certo due fattori ci pesano come macigni: i social e il ruolo femminile contemporaneo.

La mamma di oggi, grazie al cielo, ha il permesso di essere molte altre cose oltre che dispensatrice di vita e di schiaff coccole. Siamo esseri ricchi di interessi, sogni e cose da fare. Esseri umani in poche parole.

Ma forse a causa di quell’istinto biologico che ci spinge (giustamente) verso una dedizione alla cura della prole e un retaggio del passato che ancora riecheggia sotto forma di ‘madre ideale’, sempre disponibile fisicamente ed emotivamente, capita che spesso ci sentiamo in colpa.

Tolgo un’ora a mio figlio perché vado in palestra? Leggero senso di colpa.

Non lo metto a letto ed esco per ubriacarmi con le amiche, mentre mi guarda come il cucciolo più bastonato del mondo? Medio senso di colpa.

Gli sbraito in faccia e non riesco a rispondere al suo bisogno perché sono sull’orlo dell’esaurimento? Grande, grande senso di colpa.

E poi c’è lei. La madre ‘social’.

Ti svelo un segreto: la madre social non esiste. E’ solo una proiezione ideale composta da migliaia di frame di mamme diverse.

Anzi, più che mamme diverse, direi attimi di vita di mamme diverse. Sì perché nella foto con tonalità ben bilanciate, vedrai la madre intenta a giocare con un pezzo di legno insieme al suo bambino, entrambi coinvolti e appagati come fosse l’ultima puntata della serie preferita.

O la madre al parco, mentre il pargolo gioca sorridente nel suo ‘casual wear’ in cashmere dell’alpaca tibetano dalla coda ad elica, senza che nessun filo d’erba o pozza fangosa osi fare una qualche macchiolina.

O ancora, la scena della colazione della domenica. Tutti allegri, riposati e buontemponi, mentre gustano composti i pancake appena fatti e la frutta km zero.

Ed ecco che si insinua il senso di colpa, il dubbio.

Ma solo i miei al parco rompono tutti i pantaloni nelle ginocchia e si sporcano che neanche dopo la lotta nel fango? Solo i miei si alzano alle 6 di domenica sbattendo tra di loro i pentolini in metallo dell’Ikea, mentre io e padre li guardiamo attraverso le occhiaie, ricordando in piena sindrome da ‘Costa Crociere’ quel tempo in cui la domenica mattina era sveglia alle 10, coccole e ‘me time’?

Ma anche peggio. Ti senti inadeguata perché esci troppo, inadeguata perché non esci abbastanza. Inadeguata perché fai troppo o troppo poco movimento. Vestiti troppo piccoli o troppi vestiti. Brand low cost che uccidono l’ambiente e le persone, brand sostenibili che con 50 euro ci compri un paio di calzini. Cibo sano che gli fa schifo, cibo schifoso che almeno si mangia in pace. Giochi montessori che vengono lanciati contro la parete che almeno gli facciamo fare un bel suono. Giochi senza scopo educativo comprati al mercatone, che però gli piacciono un casino. Urli troppo. Sei troppo permissiva. Forse avresti potuto fare meglio?

E poi ci sono. Sì, ci sono quei momenti di equilibrio nei quali hai azzeccato il piatto sano che gli piace e giocano felici un’ora a rincorrersi in un giardinetto senza nessuna particolare attrattiva. Momenti nei quali tutto funziona e ti senti completa.

Come massima però, non sentirti in colpa amica mia se al posto del filetto di merluzzo pescato a mano in Alaska dal contadino amish, gli dai quello panato preso dalla confezione con un tizio vestito da Capitano.

La madre perfetta non esiste e, in fin dei conti, quale bambino la vorrebbe? Cioè, anche Mary Poppins alla fine comunque prende il suo ombrellino e parte per nuove avventure, mica si ciuccia i bambini fino alla vecchiaia.

senso di colpa maternità